“Pia è stata sfortunata nella vita. Per questo le lascio tutto.”
Con queste parole, Romulo consegna a Riccardo il suo testamento. Un gesto che all’apparenza sembra compassionevole, quasi burocratico. Ma chi guarda attentamente la scena percepisce qualcosa di molto più profondo. Non è solo generosità. È una confessione non detta.
Romulo sta morendo. La prigione, la malattia, il tempo che scivola via. Ma prima che l’oscurità lo avvolga, ha bisogno di sistemare qualcosa che lo tormenta da anni. Quel qualcosa… ha un nome: Giana.
Per anni, Romulo ha protetto Pia con una dedizione che andava oltre l’amicizia. Quando lei soffriva, lui era lì. Quando aveva bisogno, lui era il primo ad accorrere. Nessun altro membro della servitù, nemmeno Lope o Simona, ha mai ricevuto da lui lo stesso calore. E non è tutto: il modo in cui guarda Giana – quella tenerezza silenziosa, quel rimpianto nei suoi occhi – dice ciò che le sue labbra non hanno mai osato.
I sospetti aumentano quando osserviamo la tempistica. Romulo era presente nel palazzo quando Pia fu aggredita dal barone de Linaia. Era lì durante la gravidanza segreta. Era lì quando Giana nacque. E in tutti questi eventi cruciali… era sempre al centro della scena. Non come testimone passivo, ma come figura silenziosa che manovrava dietro le quinte, proteggendo, sostenendo, amando.
Quando Riccardo gli chiede se c’è qualcosa di più dietro il testamento, Romulo tentenna. Ammette di aver pensato a confidarsi. Ma si limita a consegnare la busta. È un gesto carico di significato: è come se dicesse “Non posso dirtelo… ma lo sto facendo lo stesso.”
Le espressioni di Romulo parlano per lui. Quando Pia entra in prigione, il suo volto cambia. I suoi occhi brillano. La sua voce si fa più dolce. Ogni gesto tradisce un’emozione che va oltre la semplice amicizia. C’è pentimento, c’è affetto, c’è qualcosa che assomiglia troppo al dolore di un padre.
E la somiglianza fisica tra Romulo e Giana? La curvatura delle sopracciglia. La linea degli occhi. Le espressioni quando sono in tensione. Fan attenti hanno iniziato a notare piccoli dettagli condivisi, troppo precisi per essere solo coincidenze. Quando entrambi affrontano una situazione difficile, la tensione si riflette negli stessi muscoli facciali. Una sincronia silenziosa. Una verità genetica mai rivelata.
Ma non è solo il corpo a parlare. È la storia stessa. Pia era sola, vulnerabile. In una società dove una donna non sposata con un figlio era condannata, aveva bisogno di una rete. Di qualcuno che conoscesse il suo segreto. Che l’aiutasse a nasconderlo. Romulo, con la sua discrezione, la sua posizione strategica, la sua presenza costante, era l’unico in grado di farlo.
E poi c’è Gregorio. Marito violento. Ma anche perfetta copertura. Il matrimonio fu probabilmente una soluzione d’emergenza per dare un nome al bambino. Ma non fu una salvezza. Fu una condanna. Pia ha sofferto. E Romulo ha sofferto con lei. In silenzio. Da lontano. Come farebbe un padre che non può esserlo pubblicamente.
Il testamento, allora, non è un dono. È un risarcimento. Un modo per dire: “Non sono stato lì come avrei voluto… ma ti proteggerò anche da morto.”
Riccardo lo capisce. I suoi occhi parlano. Sa che dietro quelle carte legali c’è una verità devastante. E il pubblico la sente. La vede. La intuisce. Non c’è bisogno che venga detta a voce alta: ogni gesto, ogni ricordo, ogni silenzio carico di emozione parla per lui.
Romulo, con questo ultimo atto, potrebbe aver rivelato chi è veramente Giana. E quando Pia lo scoprirà – se lo scoprirà – nulla sarà più come prima.
La domanda ora è una sola: Pia riuscirà mai a perdonare Romulo… o a confessare la verità a Giana?